E’ lo stralcio di una lettera inviata da una lavoratrice, ex dipendente della Cgil, alla segretaria generale, Susanna Camusso, lamentando di essere stata costretta a lasciare il suo posto di lavoro, senza riuscire ad ottenere quanto le sarebbe spettato di diritto.
La donna si chiama Anna Maria Dalò, la sua storia divenne nota qualche anno fa perchè venne licenziata dopo aver lavorato per 25 anni nel patronato Inca della Cgil ad Andria. Fu licenziata dal segretario provinciale, Liano Nicolella, nella primavera del 2010: secondo Nicolella, si era assentata ingiustificatamente dal lavoro nei mesi precedenti mentre invece la donna era assente per malattia, un cancro alla tiroide, assenza per la quale il certificato medico era stato regolarmente consegnato. La questione rimbalzò al congresso nazionale della Cgil di Rimini: i vertici disposero che Nicolella si dimettesse e che Dalò fosse reintegrata.
Intanto la dipendente aveva denunciato il sindacato per stalking, mobbing e diffamazione e chiesto di essere trasferita altrove, perchè – afferma – “non potevo tornare a lavorare nello stesso luogo e con le stesse persone che da un giorno all’altro avevano iniziato a non rivolgermi la parola, come se non mi conoscessero, che mi avevano voltato le spalle e colpito nel momento più difficile della mia vita».
«Pochi giorni prima di riprendere servizio, a fine 2010, chiamai – racconta Dalò – il segretario regionale Forte, il quale mi rispose che il sindacato non era sotto processo e che non c'era possibilità di andare a lavorare altrove».
Anna Maria Dalò, nonostante fosse stata reintegrata, si dimette perchè non se la sente di tornare a lavorare nello stesso posto dal quale era stata allontanata. Parte del suo Tfr lo ha ottenuto a colpi di carte bollate, ma la pensione non le spetta e, stando a quanto le ha risposto la Cgil, neppure la somma calcolata quale adeguamento fra mansione svolta e inquadramento contrattuale.
«Ho sempre svolto un lavoro importante, occupandomi – dice – di infortuni, cause di lavoro, questioni delicate, per le quali esiste una categoria e un inquadramento contrattuali ben precisi, invece ho scoperto che da busta paga risultavo essere alla stregua di un portinaio, autista, qualcuno che svolgesse funzioni che non richiedevano alcuna qualifica professionale». Questo però, Anna Maria Dalò, lo ha scoperto solo dopo. «La mia è una battaglia di principio – sottolinea – e fra i miei diritti vi è anche quello di ricevere tutto quanto mi era stato illecitamente negato in tutti i miei anni di servizio a 1.000 euro al mese».
Il sindacato provinciale e regionale le risponde che non le spetta nulla, la storia è chiusa. E’ per questo che l’ex dipendente scrive a Susanna Camusso e le racconta ogni cosa. La risposta inviata dagli avvocati del sindacato è stata che la Cgil nazionale e quelle territoriali sono cose distinte. Argomentando e motivando per legge che così non è, Dalò scrive nuovamente al numero uno di Cgil. «Voglio solo ricordare che un sindacato è un soggetto che svolge una funzione pubblica - spiega Dalò – e che per questo, anche il patronato per cui ho lavorato, percepisce fondi pubblici, utili anche a pagare gli stipendi. I miei stipendi non sono stati quelli giusti, dove finiva quel denaro pubblico? Come potrà, dopo quanto accaduto a me, usare e strumentalizzare l’articolo 18 il padronato? come una clava probabilmente... Così si sta sgretolando tutto quello in cui ho sempre creduto e per cui ho lottato, i principi secondo i quali ho educato i miei figli, ma questa è una battaglia che voglio portare a termine».
Da La Gazzetta del Mezzogiorno del 9 Marzo 2012 |
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