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giovedì 23 giugno 2011

LETTERA APERTA DEGLI OPERAI EDILI DI CAPITANATA

Riceviamo e pubblichiamo volentieri questa lettera aperta degli operai edili di Capitanata al Direttore della Cassa Edile.

Egregio Direttore  "Cassa Edile di Capitanata" mi ritrovo ad oggi, mio malgrado, scriverVi dopo circa due mesi di distanza in merito ad una mia personale richiesta formalmente inoltrataVi in relazione alla mancata corresponsione degli interessi passivi nella procedura di amministrazione controllata della societa’ Coopcostruttori,somma di mia competenza,a titolo dei mancati accantonamenti salariali per i periodi di Ottobre 2002,Giugno 2003 pari ad un importo complessivo di euro 926,25 – compresive delle trattenute associative- sindacali di categoria per euro 48,75  in favore della Fillea-CGIL di Foggia.
Dopo oltre  sette anni, il sottoscritto ed altrettanti circa 5 mila Lavoratori dipendenti della Coopcostruttori, il Giudice delegato all’amminstrazione straordinaria,ha disposto il piano di riparto economico per i creditori privilegiati,in relazione ai rispettivi crediti omologamente sospesi,non ottemperando contestualmente gli ulteriori interessi passivi legittimamente spettanti.


 In riscontro alla Vostra nota del 14.settembre.2010 – prot. 4730 – e dopo opportuni confronti con la segreteria provinciale della Fillea – Cgil di Foggia,e’ emerso:

1)      Che per il sindacato di categoria e’ discrezionale l’ operato del Giudice, il quale non ha eventualmente disposto alcun pagamento degli interessi passivi scaturiti dai crediti legittimamente  dovuti per ogni Lavoratore in luogo al cantiere di San Severo;

2)       Che la Cassa Edile di Capitanata non si e’ adottata di alcun regolamento affinche’ si tutelasse il diritto dei Lavoratori edili, per la quale in presenza di insolvenze,ritardi ed appropriazioni indebite da parte datoriale,  si finalizzasse la liquidazione dei dovuti interessi passivi maturati a favore degli stessi.


Per quanto posto in evidenza,ritengo indispensabile denunciare pubblicamente tutta la  mia  amarezza ed il profondo disagio  per  l’atteggiamento “neutrale” del sindacato di categoria provinciale ed in particolare della Fillea – Cgil nel suo complesso, ribadendo e sottoscrivendo la presente lettera aperta.

Personalmente  da un po’ di tempo come tanti altri Lavoratori mi sono posto e mi pongo il problema di come l’ adesione al Sindacato non possa essere  puramente solo un atto formale e  ideologico.Da lavoratore  ho sempre considerato che solo attraverso un sano rapporto antagonistico con i datori di lavoro,e,laddove si rendesse necessario,lo strumento dello sciopero e le lotte, possono pienamente legittimare la difesa del posto di lavoro,la salvaguardia del potere d’acquisto del salario e la sacrosanta tutela dei diritti dei Lavoratori.
         
            Il riscatto sociale,l’ emancipazione della classe operaia e la conquista democratica dei diritti sociali
tese alle migliori condizioni di vita sui posti di lavoro,hanno avuto l’ alba in un periodo dove non a caso,in un sistema di conflittualia’ sociale,si erano poste in un contesto di forze,le finalita’ ad un piu’ giusto equilibrio  tra classe capitalistica e classe operaia in virtu’dei valori fondamentali derivanti  dall’ art. 41 della nostra Costituzione Italiana.
 
La drammaticita’ delle condizoni di tanti,molti lavoratori, imporrebbero un’attenta elaborazione analitica poste a nuove  piattaforme rivendicative per esprimere nuovi diritti ed estenderle,su queste basi,nelle societa’ democraticamente avanzate e complesse.
Per molti significa pero’,un’ equazione anacronistica per un opzione inversa atta  ad un sistema molto piu’ semplice ed accomodante,attuate con relazioni mortificanti quali concertazione e consociativismo.

 Da ex-lavoratore edile,ed ex dirigente sindacale della Fillea ho guardato sempre con estremo sospetto il “sistema di cogestione” degli enti bilatertali con i rappresentanti delle imprese edili,ho ritenuto sempre un problema che solo uno striminzito 30% della complessiva platea storica dei Lavoratori iscritti alla Filca CISL- Fillea CGIL – e Feneal UIL presso la Cassa Edile di Capitanata ,fosse un macigno evidente di democrazia e di rappresentanza per l' intera categoria.
 Oggettivamente non puo’scaturire una rappresentanza di dirigenti sindacali da una palese minoranza di iscritti,per poi conseguentemente, prepotentemente e disinvoltamente dettarne regole, metodi e sorti a  scapito dei Lavoratori.

Problemi questi,di cui purtroppo non sono altro che una punta di un iceberg.

Si e’ narrato e si narra,con cognizione di causa,dell' aspetto in cui si caratterizzano le cicliche assunzioni trasversali e nepotistiche in Cassa Edile di Foggia pariteticamente e preventisticamente bilanciate....(a proposito dei giusti equilibri) e la spergiudicatezza dei rapporti  consociativi  politico-affaristici in seno algli enti bilaterali,dovrebbero indurre in chi ha responsabilita’ Confederali in ambito nazionale e provinciale,ad una ineluttabile  presa di coscenza politica e morale.

Oramai non bastano piu’ i proclami,i contratti collettivi nazionali ed intragrativi in questa provincia, sono da decenni  solo dei copia ed incolla, rifrescati all’ occorrenza da qualche novita’ normativa, e per la quale renderli esigibili,sono una mera utopia per i Lavoratori.Queste regole,sono spesso barattate e negoziate  in nome di compromessi sulla quale e’ meglio tacere per carita’ di patria.La rassegnazione di tanti Lavoratori sono lo scenario di fondo di “compartecipazione” di accordi e prospettive gia’ denileate.Spesso non sono altro che inconsapevoli attori,in mani a finissimi registri i quali perpetuano l’arte del potere per fini e tornaconti personali,mortificando ed avvilendo le giuste aspettative collettive ed inviduali.
Gli avvicendamenti con scadenze programmate per la cogestione paritetica  degli enti-bilaterali  di esclusiva  nomina da apparati  prettamente politico-sindacale,dimostrano di sterilizzare qualsiasi volonta’ atta ad intraprendere dinamiche diverse dall’ attuale status-quo non piu’ sostenibile,sulla quale sono evidenti crepe e falle di un “sistema” che garantisce solo l’ autoreferenzialita’ fine a se stessa.

 Pensare di galleggiare disinvoltamente su queste basi,equivalerebbe galleggiare su uno stagno prossimo alla decomposizione.  

Da ex-operaio edile di lungo corso avverto in tutta consapevolezza l’estremita’ di questi disagi,in  una categoria stanca di tutte queste enormi contraddizioni e pericoli. Da sindacalista,  vorrei offrire questi elementi per lanciare un allarme affinche’ tutti gli errori non diventino diabolici,e prima che questo processo non diventi per il Sindacato una catastrofe,come molti neocapitalisti auspicano.

Questa mia lettera aperta infine, e’ scaturita interpretando il pensiero di tutti i miei compagni e colleghi di lavoro,i quali dopo averla letta ed approvata,danno mandato per renderla pubblica.

Infine con la presente,danno altresi’ preciso mandato al Direttore della Cassa Edile di Capitanata in qualita’ di mero esecutore dei regolamenti “unilateralmente” predeterminati ,di destinare eventualmente le nostre somme in relazione agli interessi di cui sopra specificati,ai figli dei Lavoratori edili morti in adempimento del loro lavoro (la giusta definizione e’ la loro fatica),in quanto non vorremmo in nessun caso che andrebbero a finanziare le “opere d’arte” di uno storico  e  pseudomino“dirigente sindacale”.
                                                                                    

                                F.to
            Emilio  Salvatore  GALULLO

lunedì 20 giugno 2011

Comunicazione al Presidente alla Segreteria ed al Comitato Direttivo della Cgil del Trentino



L’area “la Cgil che vogliamo” del Trentino esprime netta condanna dei contenuti dello striscione esposto il 5 giugno nei confronti della compagna Susanna Camusso, ma nello stesso tempo si dissocia da una logica sanzionatoria contenuta nel provvedimento di “espulsione” che ha colpito militanti e iscritti alla Cgil in modo del tutto casuale senza le precisazioni di eventuali responsabilità individuali.
Un provvedimento che colpendo nel gruppo suscita in noi rabbia, rammarico e frustrazione che intendiamo esprimere a questo direttivo sulla scorta di alcune valutazioni politiche sullo sciopero e sulla manifestazione del 6 maggio scorso la cui riuscita ha dimostrato una disponibilità (da molti data per morta) della classe lavoratrice alla lotta, soprattutto quando le sue istanze di giustizia sociale vengono intercettate dalla CGIL e concretizzate in autentiche mobilitazioni generali.
In questa cornice la capacità di mobilitazione de “la Cgil che vogliamo” del Trentino è riuscita ad arricchire il corteo con la presenza di realtà che fanno riferimento ad altri collettivi o pezzi di società civile e di movimento.
Risulta pertanto incomprensibile il tentativo messo in atto dal segretario organizzativo della Cgil di spezzare il corteo nel tentativo di escludere fisicamente il dissenso dal corteo stesso. Un dissenso verso le politiche provinciali e verso chi ritiene il Trentino un’isola felice dove la concertazione avrebbe risolto ogni problema sociale.
Il significato politico di questo gesto è di una gravità inaudita e si traduce nel non riconoscimento del diritto di cittadinanza in CGIL di settori ampi di lavoratrici e di lavoratori. Per questo ci chiediamo e chiediamo se una simile scelta sia il frutto di una iniziativa estemporanea o il risultato di una scelta condivisa della segretaria.
La Cgil che vogliamo” ribadisce la sua completa estraneità con quanto successo durante l’intervento del compagno Segretario Burli il giorno 6 maggio o con i recenti episodi accaduti domenica 5 giugno durante la visita della compagna Segretaria Camusso.
Episodi che abbiamo condannato senza indugio e, relativamente all’ultimo episodio, fatto con pubbliche dichiarazioni rese agli organi di informazione dalle/i compagne/i presenti, che tuttavia oggi sono oggetto di procedimento disciplinare, che colpendo loro colpisce tutta la l’area de “La Cgil che vogliamo” del Trentino.
L’attività dell’area è sempre stata all’interno delle regole statutarie, purtroppo, come nel caso Filt non fatte rispettare da parte della Cgil, contribuendo alla dialettica interna alla CGIL ponendo questioni di merito sul ruolo del sindacato, sulla strategie migliore per contrastare la sempre più diffusa precarietà ed insicurezza sul e del lavoro, la progressiva erosione dei salari e delle pensioni, le crescenti disuguaglianze, i processi di privatizzazione dei beni comuni e dello stato sociale.
Un procedimento, quello delle “espulsioni”, che per noi rimane immotivato e per questo inaccettabile e per il quale chiediamo a gran voce la sospensione della sua efficacia in attesa che venga acclarata immediatamente la posizione delle compagne e dei compagni sanzionate/i, restituendo loro la libera militanza dentro la CGIL. Nello stesso momento chiediamo alla Cgil ai vari livelli di responsabilità, di avviare un confronto che possa riportare la dialettica ed il confronto interno dentro i confini delle regole democratiche in applicazione, senza sconti, delle regole statutarie.
Per questo oggi, come area “La Cgil che vogliamo”, anche alla luce del rinvio della discussione di merito alla presenza del compagno Panini, intendiamo esprimere la nostra solidarietà e vicinanza ai compagni colpiti da un provvedimento di “espulsione” che lede il principio fondamentale del diritto alla difesa, e per questo chiediamo una modifica dell’ordine del giorno di questo Direttivo in modo da affrontare fin da subito la discussione sull’intera vicenda.

La Cgil che Vogliamo
Trento 15 giugno 2011

sabato 18 giugno 2011

Romina Licciardi ha scritto alla Commissione di Garanzia della CGIL chiedendo un'audizione.

  Alla Commissione interregionale di garanzia
                                                          e p.c.         Alla segreteria nazionale della Cgil      sede
                                                          e p.c.         Alla segreteria regionale Cgil Sicilcia    sede

     Oggetto:Avvio procedimento di espulsione: richiesta di audizione e relativi adempimenti istruttori

La sottoscritta Licciardi Romina nata a Ragusa il 16.07.1975 ed ivi residente in via      , al fine di procedere con gli adempimenti di vs  competenza statutaria, comunica quanto segue:

Premesso che la scrivente e' stata formalmente assunta, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, dalla Cgil Ragusa a partire dall'anno 2000, anche se l'inizio del rapporto di lavoro risale al 1998, espletando inizialmente le mansioni di responsabile dello sportello lavoro e coordinamento CID (centro informazioni disoccupati). Alla fine dell'anno 2000, sono stata fatta oggetto di un esplicito tentativo di violenza sessuale sul posto di lavoro (Camera del lavoro territoriale Ragusa) da parte di un mio superiore gerachico e che nel tempo gli atti molesti sono stati piu' volte, ed in forme diverse, reiterati. Nel novembre 2002 sono stata eletta segretaria confederale provinciale con delega con mercato del lavoro e alle politiche di genere e a far data da aprile 2004 sono stata nominata, su designazione della Cgil Sicilia, Consigliera di pari opportunita'. A seguito di tale nomina, a far data 1luglio 2004, sono stata collocata in aspettativa non retribuita e cio' fino al 31 agosto 2009. Nel corso di detto periodo sono stata altresi' eletta quale referente provinciale Udi(Unione donne in Italia) dal coordinamento provinciale donne Udi di Ragusa.

Considerato che successivamente al mio rientro in servizio presso la Cgil Camera del lavoro territoriale di Ragusa, in data 30 dicembre 2009, mi e' stato sottoposto per la firma un verbale di conciliazione a firma del segretario generale pro tempore Sig.Giovanni Avola, con il quale, tra l'altro, avrei dovuto rassegnare le miei irrevocabili dimissioni dal  posto di lavoro.

Successivamente ho provveduto a diffidare formalmente la Cgil di Ragusa, stigmatizzando le chiare ed evidenti violazioni etiche, comportamentali nonche' statutarie e regolamentari ed ho provveduto altresi' ad informare le strutture regionali e nazionali della Cgil nelle persone della Sig.Mariella Maggio/segr.generale Cgil Sicilia) e il Sig Marco Di Luccio (resp. dipartimento organizzativo Cgil nazionale), di quanto stava avvenendo. Per tutta risposta e con evidente intento di rappresaglia, la Cgil di Ragusa ha mosso a mio carico,attraverso una serie di atti dichiaratori,ai quali ho sempre puntualmente controdedotto,una serie di contestazioni disciplinari del tutto prive del benche' minimo fondamento.A seguito di tutto cio', ed al solo fine di proteggermi da quanto stava avvenendo, in data 6 febbraio 2010 attraverso una apposita conferenza stampa, ho provveduto a rendere pubbliche tali gravissime situazioni.

Il giorno successivo, il direttivo della Cgil di Ragusa ha deliberato l'avvio delle procedure finalizzate alla mia espulsione dall'organizzazione che riporto testualmente dal Comunicato stampa della Cgil di Ragusa:

 “Il comitato direttivo della Camera del lavoro di Ragusa ha giudicato, sostengono Giovanni Avola, segretario Generale della Cgil di Ragusa e Giovanni Cassibba presidente dell’organismo deliberante, i contenuti delle note rese alla stampa gravissimi. Tali contenuti si sono concretizzati con ripetuti attacchi alla CGIL.
Le falsità e le diffamazioni contenute hanno pesantemente leso l’immagine, il ruolo e il prestigio della CGIL, riscontrandosi le gravissime violazioni statutarie (art. 5 e 26 dello statuto della CGIL)”.

Nella decisione assunta dal comitato direttivo si sostiene, ancora, che: “fermo restando l’accertamento nelle sedi giudiziarie preposte delle eventuali responsabilità penali, ha deliberato, alla unanimità, di avviare la procedura di espulsione dalla CGIL di Romina Licciardi, chiedendo alla Commissione di Garanzia, ai sensi dell’articolo 26 dello Statuto della CGIL, di attivare i relativi adempimenti”.

Successivamente a tale adempimento e ancor prima di qualunque formale decisione da parte degli organi preposti all'accertamento di eventuali responsabilita', in data 8 aprile 2010 sono stata licenziata in tronco dalla Cgil di Ragusa.

Per quanto sopra premesso e considerato che dalla decisione di avviare le procedure di espulsione a tutt' oggi, trascoso circa un anno e mezzo, nessun organo di garanzia interno alla Cgil ha "attivato i relativi adempimenti" e che nessun accertamento di reponsabilita' e' stato mai formalmente adottato dagli organi preposti,con la presente richiedo formalmente alla Commissione di Garanzia di procedere con le istrutture del caso al fine di accertare eventuali violazioni statutarie  e regolamentari, nonche di procedere alla mia audizione.Tutto cio' al fine di comprendere le ragioni per le quali tale procedura, regolata statutariamente, non sia mai stata attivata ed al fine non secondario di accertare la verita' dei fatti sul piano politico, regolamentare e statutario.

In attesa di un cortese ed urgente riscontro, colgo l'occasione per porgervi i piu' cordiali saluti.
Romina Licciardi

giovedì 2 giugno 2011

CORTE DEI CONTI. Sentenza di appello ribalta la decisione di primo grado: l'ente era un'emanazione diretta del sindacato

LA CGIL CONDANNATA A PAGARE I DEBITI DELL'ECAP


La Cgil Sicilia è stata condannata dalla Corte dei Conti a pagare più di 104 mila euro all'assessorato regionale al Lavoro, come danno erariale causato dall'Ecap di Agrigento tra l'84 e il '91. Ente di formazione, l'Ecap Sicilia era <<emanazione della Cgil fino al 2000>>, scrivono i giudici.
La Sezione giurisdizionale d'appello, dopo un'assoluzione in primo grado, ha ribadito il principio che a rispondere del danno possono essere chiamati anche i soggetti, nel caso di associazioni, che di fatto dirigevano la vita dell'ente. La vicenda ha inizio nel 2007, quando la Regione, visionato il rendiconto della sede agrigentina dell'Ecap, chiedeva il pagamento del debito alla Cgil, che si dichiarava estranea.

Nel 2000 la Cgil cessa infatti ogni rapporto con l'Ecap Sicilia, trasformando gli Ecap provinciali da enti-emanazione delle confederazioni sindacali ad associazioni con propri statuti. La Cgil - si legge nella sentenza - deliberava che si sarebbe assunta i debiti per le attività pregresse dell'Ecap Sicilia, che andavano ripartiti con le Camere del lavoro territoriali. Ma secondo la procura <<era pretestuoso che dopo avere gestito i finanziamenti si proclamava estranea alla vicenda>>. I giudici di primo grado assolvono il sindacato, concludendo che l'Ecap costituiva un soggetto giuridico distinto dal sindacato.

Adesso, dalla sezione di Appello il rovesciamento della sentenza di primo grado. Secca la replica di Mariella Mggio, segretario generale Cgil: <<Le motivazioni dei giudici mi stupiscono - dice - perché altre sentenze avevano escluso il coinvolgimento del sindacato. Quando esisteva l'Ecap Sicilia, ogni sede provinciale aveva una gestione indipendente. In ogni caso, la Cgil Sicilia ha dismesso l'ente fin dal 2000>>.
(sentenza 153/A/2011)

Da Il Giornale di Sicilia di giovedì 2 giugno 2011. Servizio di Giuseppina Varsalona