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giovedì 29 marzo 2012

Se la CGIL è libera di licenziare

Se la Cgil è libera di licenziare

28 marzo 2012 POLITICA
 
Licenziata dalla Cgil dopo che le  ripetute discriminazioni sul posto di lavoro l'avevano ridotta all'anoressia e alla depressione, costringendola a rimanere a casa per curarsi. Dopo avere ripercorso, attraverso un  atto di citazione in giudizio, la storia professionale e le angherie subite dalla signora Simona Micieli da parte della Cgil di Cosenza - a  maggio ci sarà la prima udienza davanti al giudice di lavoro - verrebbe voglia di suggerire al premier Mario Monti una nuova possibile modifica dell'articolo 18:  abolirlo per le grandi aziende e il comparto pubblico, introdurlo ex novo per i sindacati, i partiti e gli enti ecclesiastici. La storia della donna e il documento che l'Opinione ha potuto leggere si trovano entrambi sul blog dei "licenziati dalla Cgil" (licenziatidallacgil.blogspot.it).
La Cgil della Camusso e dei tanti "camussini" provinciali sparsi in tutta Italia vive della reputazione, per ora intatta, di essere il sindacato "duro e puro", per eccellenza, senza se e senza ma, dalla parte dei lavoratori.
Tranne quelli alle proprie dipendenze. Paradossalmente i migliori argomenti a favore del mantenimento in vita dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori vengono dai comportamenti con i propri dipendenti da parte dei vertici sindacali italiani, nella fattispecie della Cgil. Che, profittando invece della non applicabilità di quella norma per partiti, sindacati ed enti riferibili alla chiesa cattolica, hanno sempre dato il peggio di sé nelle vertenze con i lavoratori. Come il caso della povera signora Micieli dimostra.
L'intero sito curato dai licenziati della Cgil è un urlo contro l'ipocrisia di chi a parole si erge a paladino dei lavoratori, purché a casa degli altri. C'è la discriminata sessualmente che lascia il proprio testamento in un video, c'è chi minaccia gesti inconsulti perché censurato dai media. E c'è anche chi come la signora Simona mette a disposizione in un pdf l'intero ricorso al magistrato del lavoro di Cosenza. La Cgil ha tentato anche le strada del ricorso alla magistratura penale o civile per difendersi dalla marea di accuse di mobbing che rischiano di travolgerla. Intentando cause di diffamazione. Ma sinora senza successo.
Il 16 settembre 2011 sul portale appariva un trionfante comunicato dell'ex sindacalista Cgil Tommaso Fonte, citato per danni per ben 100 mila euro da parte del suo ex datore di lavoro, la Cgil di Ragusa. «In data 16.04.2010  la Cgil di Ragusa in persona del suo legale rappresentate Giovanni Avola - si leggeva -  mi notificava un atto di citazione con richiesta di risarcimento danni per euro 100.000  per le dichiarazioni da me rilasciate successivamente  alla mia epurazione dalla  stessa Cgil dopo 27 anni di militanza e di dirigenza e dopo essere stato, da ultimo, il segretario generale uscente della stessa Cgil di Ragusa». Risultato? Il 6 settembre 2011 il tribunale di Ragusa, giudice Vincenzo Saito «definitivamente pronunciando, disattesa ogni istanza contraria eccezione e difesa, rigetta la domanda in premessa della Cgil camera del lavoro di Ragusa in persona del suo legale rappresentante nei confronti di Fonte Tommaso e  la condanna al pagamento, in favore di quest'ultimo,  di euro 8.219,25 per spese processuali».
Il prossimo 12 maggio si celebrerà la prima udienza davanti al giudice del lavoro di Cosenza per il caso di Simona Micieli. Che nella propria memoria racconta così quasi sei anni di vessazioni: «La signora Micieli ha svolto attività lavorativa di fatto alle dipendenze della Cgil di Cosenza, presso la sede distaccata di San Marco Argentano a decorrere del 3-11-2003 espletando continuativamente il seguente orario di lavoro: dalle 8.30 alle 12.40 e dalle 15.30 alle 19.00 dal lunedì al venerdì, nonché dalle 9.00 alle 12.30 il sabato». Il contratto però era a progetto e prevedeva all'inizio 250 euro al mese a titolo di rimborso spese. E infatti gli avvocati dello studio legale di Giovanni Caglianon rilevano nella memoria che «sebbene il datore di lavoro non abbia mai inteso stipulare alcun contratto né abbia mai provveduto alla copertura assicurativa e previdenziale, previste per legge, il rapporto di lavoro si è protratto senza soluzione di continuità alle dipendenze della Cgil di Cosenza sino alla data del 31 gennaio 2008». Dopo quella data, sempre leggendo la memoria del legale della donna, la Micieli si ritrova «convocata dal coordinatore regionale del servizio Inca Cgil, Marcello Cirillo», il quale «alla presenza del direttore della sede Inca Cgil Sibari-Pollino, il signor Franco Pignataro, comunicava l'intendimento della confederazione sindacale Cgil (di Castrovillari però) di stipulare con la lavoratrice un regolare contratto di lavoro, part time». Il problema però era che la donna avrebbe anche dovuto trasferirsi, senza poter più contare sull'aiuto familiare. Inoltre, mentre lo stipendio fu effettivamente quello del part time - meno di 700 euro al mese - l'orario rimase quello di un full time. Insomma, prima uno sfruttamento da contratto da progetto per cinque anni, poi un finto part time. Nella memoria di circa 31 pagine in cui la Cgil viene citata in giudizio, con richieste risarcitorie prossime ai 300 mila euro per il danno biologico, esistenziale, morale, materiale e lavorativo, si racconta anche come la donna, di fatto intimidita dai suoi datori di lavoro, inizia ad ammalarsi di depressione e di anoressia. Così le assenze dal lavoro si intensificano, fino a dare alla Cgil il pretesto per il  licenziamento, che avviene in data 3 agosto 2009.
A quel punto alla donna non rimase che tentare la strada della causa di lavoro. Di fatto però, dato che ai sindacati l'articolo 18 non si applica, anche se "lottano" e scioperano affinché rimanga in vigore per le altre imprese e il pubblico impiego, la posizione della signora Micieli non è delle più facili. Perché se non riuscirà a dimostrare in giudizio di essere stata vessata e discriminata molto probabilmente dovrà farsene una ragione. Magari, in uno dei tanti dibattiti televisivi da talk show addomesticati della tv pubblica o privata , qualcuno alla Susanna Camusso una domandina su questi dipendenti licenziati dalla Cgil dovrà pure fargliela prima o poi. Anche perché  sono in molti a essersi stufati di questo predicare bene razzolare male. Perché, come se non bastasse, un dirigente sindacale locale della Cgil, su cui l'organizzazione nazionale della Camusso ha scaricato l'intera responsabilità anche nella memoria difensiva, è stato rinviato a giudizio per violenza privata nei confronti della signora Micieli.
di Dimitri Buffa da L'Opinione di giorno 28 marzo 2012

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