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venerdì 1 aprile 2011

LA STORIA DI ROMINA LICCIARDI DA RAGUSA OGGETTO DI TENTATIVI DI ABUSI SESSUALI

La storia di Romina Licciardi da Ragusa oggetto di tentativi di abusi sessuali
Lavoratori siciliani licenziati dalla Cgil
1 aprile 2011 – Servizio giornalistico a cura di Antonio Nesci
Continuiamo a raccogliere le storie del Comitato Lavoratori Licenziati dalla Cgil. Proponiamo ai nostri lettori la storia di Romina Licciardi. “Arrivo alla Cgil di Ragusa nell’ottobre del 1988 e fino al 1° marzo del 2000 lavoro in nero con l’incarico di responsabile dello sportello lavoro. Dal 1 marzo vengo assunta part time ma in realtà lavoro full time. La regolarizzazione full time avviene dal 1° ottobre del 2000. Nell’ottobre del 2000 sono oggetto di un tentativo di aggressione a sfondo sessuale da parte di un importante dirigente della Cgil e mio superire diretto; a seguito del mio rifiuto, dallo sportello lavoro vengo trasferita all’Inca, il patronato della Cgil, a fare disbrigo pratiche e mi viene detto che se avessi parlato sarei stata riportata a part time ed anche licenziata. Della situazione ovviamente a suo tempo informai due componenti della segreteria provinciale e loro informarono la segreteria regionale e nazionale”. Una storia molto forte quella della signora Romina, come le altre sfociate in azioni legali. “Nel luglio del 2004 stante il perpetuarsi della situazione, ero spesso oggetto di pesanti apprezzamenti e atteggiamenti non desiderati, vengo designa all’incarico di consigliera di parità presso l’ufficio provinciale del lavoro. Ciò evidentemente per allontanarmi dal posto di lavoro. Per cui stante il clima preferisco evitare, per quanto possibile, i  contatti con la Camera del lavoro di Ragusa, poiché una tale situazione mi aveva già provocato  tanti guai alla salute: gastroenteriti, tiroidine, stati ansiosi cronici. Il tempo pensavo aggiustasse le cose, ma  purtroppo negli ultimi mesi la situazione è totalmente degenerata. Alla fine del mio incarico di consigliera di parità chiedo, non sapendo se c’era o no una proroga allo stesso incarico che avrebbe dovuto stabilire la Regione Sicilia fino alla designazione delle nuove consigliere,e poiché non percepivo alcuna spettanza dal mese di aprile del 2009, chiedo di rientrare in Cgil ma ritrovo un  clima  ancor più pesante. Mi vengono negati i rimborsi spese e perfino lo stipendio mi viene erogato a singhiozzo e sempre in date diverse. Lo stipendio di settembre mi viene pagato alla fine di novembre e dopo l’intervento della Cgil nazionale e non mi viene attribuito alcun incarico. Il 16 settembre 2009 vista la situazione interna alla Cgil di Ragusa, ho una crisi nervosa e vengo sottoposta a visita specialistica e trovata affetta da sindrome dell’adattamento e stati ansiosi cronici. Nel contempo, fin dal mese di luglio del 2009, mi reco più volte a Roma presso la Cgil nazionale per spiegare che dentro la Camera del Lavoro di Ragusa non ci sono le condizioni per una mia permanenza e per lo svolgimento di un lavoro sereno e quindi chiedo di adoperarsi al fine di ottenere un trasferimento presso altra sede o struttura della Cgil. Più volte vengo rassicurata. Infine mi dicono che la cosa deve essere discussa in un incontro tra il segretario della Cgil di Ragusa Giovanni Avola e la segretaria della cgil Sicilia Mariella Maggio. Dopo tante mie sollecitazioni il 15 dicembre 2009, si svolge l’incontro, a cui partecipa anche Ferruccio Donato, responsabile organizzazione Cgil Sicilia. Racconto nuovamente ai presenti tutta la mia storia che in gran parte conoscono e richiedo una nuova destinazione di lavoro, quindi un semplice trasferimento. La signora Maggio mi rassicura che il successivo 4 gennaio ci saremmo rincontrati per fare il punto sulla situazione. Invece il 30 dicembre accade l’inimmaginabile: per il tramite del medico della Cgil di Ragusa Sandro Tumino, mi viene sottoposta una proposta della Cgil: attraverso un verbale di conciliazione in sede sindacale avrei dovuto rassegnare le dimissioni dal posto di lavoro in cambio della mia nuova nomina a consigliera di parità. Nomina che ovviamente doveva permettere di evitare il mio rientro presso la Camera del Lavoro di Ragusa. In cambio di una eventuale assegnazione diversa, la Cgil mi chiedeva di licenziarmi dal posto di lavoro. Ma c’è di più. Nello stesso verbale, di cui ovviamente possiedo copia, era scritto tra l’altro testualmente: “la signora Licciardi rinuncia altresì a qualsiasi azione legale, anche solo potenziale, che possa riguardare i rapporti personali e/o professionali intercorsi tra la stessa e qualunque dirigente dell’organizzazione”. In pratica mi chiedevano di licenziarmi e per di più di non  denunciare nessuno per quanto negli anni avevo subito. A questo punto, il 19 gennaio 2010, decido di rivolgermi ad un legale per denunciare la Cgil iblea per molestie sessuali, mobbing, lavoro nero ed irregolare. La lettera del mio avvocato viene quindi inviata alla Cgil e da quel momento ricominciano e si reiterano le persecuzioni: una sfilza di visite fiscali, vengo controllata quando esco di casa e dove vado,vengo continuamente spiata e pedinata. Mi vengono inviate una serie di contestazioni di addebito, alle quali rispondo sempre, ma comprendo che la Cgil vuole licenziarmi e sta solo aspettando il momento. Il 6 febbraio indico una conferenza stampa e denuncio pubblicamente tutto, nella speranza che sotto i riflettori accesi dell’opinione pubblica, la Cgil recedesse dal suo intendimento. Purtroppo non è così. Con decorrenza 8 aprile 2010, la Cgil di Ragusa mi licenzia in tronco, senza preavviso, adducendo motivazioni ovviamente del tutto false e pretestuose e nello specifico che: in data 6 febbraio 2010 ho diffuso alla stampa un documento contenenti  affermazioni lesive dell’immagine della Cgil e per assenza ingiustificata dal 31 marzo al 2 aprile. Il mio legale ha impugnato subito il licenziamento per violazione dell’art.7 dello statuto dei lavoratori e del regolamento della Cgil, dichiarandolo ritorsivo, discriminatorio e per rappresaglia, in quanto avvenuto in conseguenza delle mie legittime richieste e rivendicazioni do diritti gravemente lesi, così come la mia dignità di donna, di lavoratrice e di persona umana”. Una storia molto toccante su cui vale davvero la pena, indipendentemente dalle ragioni, di riflettere.
 
 


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